Fino al 30 Aprile all’Artecaffé di via Masaccio a Firenze in mostra le foto di Tatjana Gorina (LT) e Daniela Raspollini (I). Una mostra, per cui ho curato l’allestimento grafico, che propone coppie di foto accostate, riprese l’una nel paesaggio urbano, l’altra in quello naturale, in un parallelo di visioni ed emozioni.
Consigliata.
Talking to trees
Parlo con gli alberi, facendomi strada nell’intreccio spinoso dei rami. Il mio occhio perso al di là del fitto bosco si stanca nell’osservare la non-linea dell’orizzonte che lo separa dai luoghi dove confluiscono le vite degli uomini. Questo limen nudo crea l’illusione di un confine e di un punto al di là dove tutto è diverso.
Quanti animali ogni giorno vengono a dimorare tra le loro braccia al riparo da un suolo su cui si scontrano con altri per un dominio? Quanti scrutano attenti attraverso il fogliame per attaccare la preda? Mi chiedo se si accorgono degli sguardi curiosi di qualche avventore dalla sete di turismo facile, se notano le loro parole piene soltanto di loro stessi. Mi chiedo se gli alberi sentano il loro corpo trafitto e scolpito da mani incoscienti. Mi chiedo come facciano a inglobare a volte le nuove costruzioni con le reti di ferro, i muretti in cemento. Cosa percepiscano di questi serpenti ruvidi color petrolio che con la sola presenza sembrano affermare: importante è la velocità. Eppure tutto questo convive e si confonde in una strana danza. La presenza degli alberi con tutto il suo silenzio urla se osservata dai sentieri selvatici.
Il bosco con il suo silenzio e i suoi rumori attrae e respinge.
Scappo. Corro verso la radura, mi perdo tra l’intreccio dei sentieri e i rovi secchi, abbandono il silenzio assordante del bosco per parlare alle strade, alla gente.
Talking to streets
Parlo con le strade, perdendomi nell’intreccio frenetico dei vicoli. L’occhio attento della macchina fotografica non si stanca mai di osservare i percorsi che tutti i giorni incanalano le vite degli uomini. Questi fiumi e ruscelli di strade creano l’illusione di una destinazione e di un punto di arrivo certo.
Quanti uomini e donne ogni giorno fanno lo stesso tragitto in fretta e senza accorgersi di quello che li circonda e di coloro che li passano vicino? Quanti vivono senza mai guardarsi intorno? Mi chiedo se si accorgono degli sguardi malinconici delle finestre dei vecchi palazzi, se notano i loro muri screpolati e imbevuti di storia. Mi chiedo se notano il cielo trafitto dalle antenne e ritagliato dai cavi elettrici. Mi chiedo che cosa pensano delle nuove costruzioni con i corpi di cemento, vetro e metallo. Cosa ne pensano di questi corpi lucidi, luccicanti e a modo loro perfetti che con la sola presenza sembrano affermare: importante è la funzionalità. Eppure tutto questo convive e si confonde in una strana danza. La vita dell’uomo con tutte le sue contraddizioni esplode inosservata nelle strade cittadine.
La città con il suo caos e il suo ordine attrae e respinge.
Scappo. Corro verso la ferrovia, mi perdo tra le vie di ferro e i pali elettrici, abbandono l’ordine confusionale della vita cittadina per parlare agli alberi, alla natura.